Ecco qualche scatto realizzato nel corso del concerto del 11 dicembre 2014 presso il Tunnel Club di Milano de “Il Cile“, al secolo Lorenzo Cilembrini, artista aretino che da tempo destava la mia curiosità, specialmente quando qualche mese fa, in concomitanza con l’uscita del suo nuovo album, è stato recensito da Vincenzo Mollica alla Rai.
“Il Cile” ha catturato la mia attenzione per la particolarità dei suoi testi, pregni di metafore e di figure retoriche,e per la sua forza e il suo coraggio di scostarsi sensibilmente dal vizio di qualche suo collega più maturo di realizzare brani o album troppo “commerciali”, pagando però il prezzo di ritagliarsi un pubblico di nicchia.
Le canzoni di Cilembrini vanno ascoltate maggiormente per i testi, il suo strabiliante talento lo porta a comporre quadri di parole dalle mille sfumature, rendendolo, prima di musicista e cantante, un vero e proprio scrittore, capace di mischiare continuamente parole creando effetti e colori sempre nuovi e mai banali.
Questo talento, almeno nei primi lavori, si ripercuote sulla melodia delle sue canzoni, che pagano la licenza poetica de Il Cile, che spesso si ritrova strozzato dalla metrica. Con il nuovo album, più maturo delle precedenti fatiche, ci troviamo davanti un artista sempre più completo, supportato da un sound convincente, che completano brani una volta troppo grezzi, ora più vicini a diamanti.
Si rimane sbigottiti se si pensa come un’artista del suo calibro, capace di migliorarsi di volta in volta, non riesca a raggiungere il successo che merita, a differenza di colleghi drasticamente meno capaci e di talento e dalla aberrante povertà artistica che riescono però a fregiarsi del merito di aver calcato palchi ben più prestigiosi.
Il Cile paga quindi il suo stesso talento, la cui unica colpa è di essere nato con venti o trenta anni di ritardo, ma soprattutto la sua sincera critica di cui di tanto in tanto riempie i suoi testi, con la personalità e la coscienza di chi ne conosce i rischi.
La verità è che i suoi testi e le sue canzoni sono indirizzate ad un pubblico in grado non solo di “ascoltare”, ma anche di “leggere” e “sentire” a 360°, e, specialmente, di capire. Robe di cui la nostra generazione, forse, non è poi così in grado.
